Spetta al fisco dimostrare la conoscenza della frode

Spetta al fisco dimostrare che il contribuente era a conoscenza della frode posta in essere da terzi in presenza di fatture soggettivamente inesistenti. Di conseguenza, se mancano elementi probatori certi e inconfutabili che attestino la consapevolezza del contribuente e, dunque, la sussistenza della falsa fatturazione soggettiva, non si possono riprendere a tassazione le cessioni di beni fatturate fuori campo Iva sulla base di lettere di intento. A precisarlo è la sentenza 168/04/2012 della Ctp di Reggio Emilia (presidente e relatore Montanari).
Il procedimento trae origine da una rettifica nei confronti di una società che, sulla base di apposite lettere di intento, aveva venduto dei beni e aveva emesso fatture fuori campo Iva a un cessionario, ritenuto poi dagli stessi accertatori una cartiera. Secondo l'ufficio accertatore, infatti, la cartiera (acquirente) avrebbe rivenduto la merce a una terza società (reale concessionaria) a un corrispettivo scontato di un importo pari al l'Iva non versata su tali cessioni, realizzando così una truffa ai danni dell'erario. Inoltre, la non occasionalità delle vendite, la mancanza di un contratto quadro e l'inesistenza di una struttura aziendale della cartiera avrebbero provato – secondo l'amministrazione finanziaria – il coinvolgimento nella truffa anche della società che aveva ceduto i beni e aveva emesso le fatture fuori campo Iva. Di conseguenza, l'ufficio ha contestato a quest'ultima il recupero dell'Iva non applicata alle fatture di vendita.
La società emittente ha impugnato l'atto in Ctp. E, secondo i giudici, incombe all'amministrazione l'onere di dimostrare, alla luce di elementi oggettivi, che il contribuente (nel caso specifico, cedente dei beni ed emittente delle fatture) sapesse – o avrebbe dovuto sapere – che l'operazione a fondamento della non applicazione dell'Iva si iscriveva in un'evasione. Pertanto, in presenza di fatture soggettivamente inesistenti, spetta al fisco provare che il contribuente era a conoscenza della frode posta in essere da terzi, non potendo richiedere particolari incombenze al contribuente che non ha applicato o ha detratto l'imposta.
In realtà, va segnalato che l'indirizzo giurisprudenziale della Cassazione, nella fattispecie di fatture soggettivamente inesistenti, pone l'onere della prova a carico del soggetto a cui viene mossa la contestazione. Ma la pronuncia delal Ctp Reggio Emilia si pone nel solco tracciato dalla Corte di giustizia del l'Unione europea nelle cause C-80/11 e C-142/11 (si veda Il Sole 24 Ore del 15 ottobre scorso). Con la pronuncia, infatti, i giudici europei hanno statuito che le disposizioni comunitarie devono essere interpretate nel senso che ostano a una prassi nazionale in base alla quale l'amministrazione fiscale nega la detrazione con la motivazione che il soggetto passivo non si è assicurato che l'emittente della fattura:
- avesse la qualità di soggetto passivo;
- disponesse dei beni;
- fosse in grado di fornirli;
- e avesse soddisfatto i propri obblighi di dichiarazione e di pagamento dell'Iva.

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