Immobili, rettifica con prove forti

Prove forti per gli accertamenti immobiliari nei confronti di un contribuente congruo e coerente agli studi di settore. L'ufficio non può fondare la rettifica sullo scostamento tra corrispettivo di vendita e valore normale desunto dai listini Omi e supportato con l'importo del mutuo. Inoltre, per gli accertamenti effettuati in base alle norme vigenti prima delle modifiche del Dl 98/2011, il fisco è tenuto a dimostrare – con dati certi o indizi qualificati – che i risultati di Gerico non rappresentano la reale situazione reddituale. È quanto emerge dalla sentenza 44/01/2012 della Ctr Sardegna.
La vicenda trae origine da un avviso di accertamento con cui l'amministarzione finanziaria ha rettificato i ricavi derivanti dalla vendita di alcuni immobili. In particolare, la pretesa è stata fondata sullo scostamento tra il valore normale desunto dai listini Omi e il prezzo dichiarato. La presunzione è stata, inoltre, supportata dal riscontro dei mutui sottoscritti dagli acquirenti.
Il contribuente ha presentato ricorso in Ctp e ha evidenziato che la coerenza e la congruità rispetto al risultato degli studi di settore comportavano la possibilità per l'ufficio di accertare il maggior reddito con il metodo analitico-induttivo solo se le attività non dichiarate erano non inferiori al 40% dell'ammontare dei ricavi complessivi o non inferiore a 50mila euro.
Queste condizioni erano previste dalla versione vigente al l'epoca dei fatti dal comma 4-bis dell'articolo 10 della legge 146/1998 (già modificato dall'articolo 23 del Dl 98/2011 e poi abrogato dal Dl 201/2011 per le attività di accertamento sul 2011 in poi), con cui il legislatore aveva voluto dare valenza e regolamentare l'utilizzo degli studi di settore in sede di accertamento: la pretesa poteva essere fondata anche su presunzioni semplici solo quando i ricavi presunti superavano tali soglie. In ogni caso di rettifica, comunque, l'ufficio doveva evidenziare le ragioni che lo avevano indotto a disattendere le risultanze di Gerico.
La Ctp ha respinto il ricorso mentre la Ctr ha accolto i motivi dell'azienda e ha rilevato che la mancata indicazione del motivo per il quale l'ufficio avesse deciso di non applicare il risultato degli studi di settore aveva privato il diretto interessato di una delle garanzie poste a sua tutela: il contribuente pone affidamento sul risultato di Gerico, sia quando naturalmente allineato e sia quando vi si adegui, in quanto è la legge a dare valenza a tale strumento statistico.
Pertanto, il soggetto congruo a cui vengono rettificati i redditi senza idonea motivazione subisce una lesione dei propri diritti in contrasto con l'affidamento e la buona fede previsti dallo Statuto del contribuente (articolo 10 della legge 212/2000).
L'accertamento aveva rilevato semplicemente che i valori di vendita dichiarati erano inferiori alle quotazioni Omi e tale dato era supportato con il valore dei mutui contratti dagli acquirenti. I giudici d'appello hanno considerato il valore normale un elemento meramente indiziario costituendo «un'indicazione di valori di larga massima». A tali dati si è contrapposto l'esito degli studi di settore, dove la congruità e la coerenza hanno dimostrato l'attendibilità dei ricavi dichiarati. Se avesse ritenuto inadeguato il risultato di Gerico, l'ufficio avrebbe dovuto in primo luogo motivare la circostanza e, in secondo luogo, supportare la pretesa con indizi gravi, precisi e concordanti.
Così la Ctr riconosce la nullità dell'atto ma ricorda comunque che «gli studi di settore sono stati depotenziati, nella loro valenza di elementi in grado di vincolare contribuente da un lato e amministrazione finanziaria dall'altro, dalla manovra di luglio 2011 con l'eliminazione dell'obbligo di motivazione sull'inadeguatezza degli studi in presenza di livelli di congruità e coerenza».

Tutte le news